Published On: 27 Aprile 2021Categories: News

Covid-19 e PM10

Articolo di Ilaria Fusco

COVID-19 E PM10, ALLEATI TRA LORO E NEMICI DEL MONDO

La relazione tra inquinamento atmosferico e diffusione del Coronavirus non è ancora scientificamente provata, ma studi rilevanti a riguardo si stanno svolgendo presso ambienti di ricerca.

Le ricerche prendono ad oggetto il particolato atmosferico (PM, Particulate Matter), e cioè l’insieme delle particelle solide e liquide presenti in atmosfera. Il diametro di tali particelle è il numero che viene usato da coefficiente di misura del particolato. La sigla PM quindi, accompagnata al valore numerico, ad es. 10, starà dunque a significare una specifica grandezza del materiale particolato.

La Società Italiana di Medicina Ambientale (SIMA) in un documento di posizione condiviso con le Università di Bologna e di Bari indica delle pubblicazioni scientifiche che correlano l’incidenza dei casi di infezione virale con le concentrazioni di particolato, asserendo che questo funga da mezzo di trasporto per i virus.

IN CHE MODO?
I virus sarebbero in grado di attaccarsi alle particelle che si comportano da veicolo, in modo da farli viaggiare su distanze più ampie e per un tempo più lungo.

In passato la SIMA ha osservato che l’influenza aviaria può essere stata veicolata per lunghe distanze attraverso tempeste asiatiche di polveri che trasportano il virus, così, più recentemente, studi sul virus del morbillo hanno attestato che uno dei maggiori fattori di diffusione giornaliera dello stesso a Lanzhou, in Cina, potrebbe essere il livello di inquinamento di particolato atmosferico.

Partendo da tali analisi e coerentemente con quanto riportato per altre infezioni virali, sembra quindi possibile cercare una relazione diretta tra il numero di casi di nuovo Coronavirus e lo stato di inquinamento da PM10 dei territori.

La SIMA ha analizzato i dati relativi a ciascuna Provincia italiana e quindi evidenziato un rapporto tra i superamenti dei limiti di legge delle concentrazioni di PM10 registrati nel periodo 10 Febbraio-29 Febbraio e il numero di casi infetti da COVID-19 aggiornati ai primi giorni di Marzo. Questo considerando un ritardo temporale di 14 giorni, tempo medio di incubazione, fino alla identificazione della infezione contratta.

La relazione tra i casi di COVID-19 e PM10 suggerisce un’interessante riflessione sul fatto che la presenza dei maggiori focolai si è registrata proprio in zone con alto coefficiente PM (Pianura Padana), mentre in altre zone d’Italia i casi di infezione sono stati minori.

Anche se il documento di posizione non è una pubblicazione scientifica, ma solo un’analisi basata su letteratura scientifica relativa ad altri virus, svolta da esperti di settore, e non ancora sottoposta alle dovute revisioni professionali, sicuramente costituisce una base per un discorso più ampio legato all’emergenza climatica in Italia e nel mondo.

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