“Last chance tourism”: Quando il cambiamento climatico ti organizza (male) le vacanze!

Si sente parlare di “turismo dell’ultima possibilità”. Che già detto così, è molto triste! Vediamo di che si tratta.

Viaggiatori annoiati, particolarmente avventurosi e decisamente benestanti sono pronti a pagare cifre considerevoli per visitare posti che a causa dei cambiamenti climatici potrebbero presto scomparire.

Se negli anni ’60 si faceva a gara per essere i pionieri nello scalare una vetta inesplorata, calpestare una terra vergine o navigare mari lontani, oggi anziché arrivare primi, ci si mette in lista per essere gli ultimi…

Filosofia e romanticismo non sono certo gli argomenti principali. Il vero problema sono le conseguenze (per lo più, dannose) che questo modo di viaggiare infligge a luoghi già di per sé, oramai, vulnerabili.

Barriere coralline, ghiacciai, isole che tra qualche decennio potrebbero scomparire dal mappamondo sono oggi meta di turisti in cerca dell’ultimo (o quasi) scatto. Raggiungere luoghi tanto remoti comporta l’utilizzo di molto carburante utilizzato da mezzi di trasporto particolarmente impattanti (pensiamo ad esempio, alle navi per visitare l’Antartide) e questo di certo non giova al mantenimento del già debole ecosistema. Inoltre, i visitatori potrebbero essere portatori di batteri e morbi deleteri per la fauna selvatica già in estinzione.

Unico lato positivo: guardare da vicino l’agonia di tanta bellezza certamente dovrebbe sensibilizzare verso uno stile di vita più corretto e meno impattante. Infatti, secondo un sondaggio del 2020 tra i visitatori del Mer de Glace, (ghiacciaio delle Alpi Francesi), l’80% ha dichiarato che vorrebbe saperne di più su come proteggere l’ambiente e il 77% che si ritiene disposto a ridurre il proprio consumo giornaliero di acqua ed energia.

Insomma, “toccare con mano” il danno prodotto, dovrebbe persuadere quantomeno a limitarlo.

Ilaria Fusco